Sinossi. Curare o cronicizzare? È il conflitto che vive, durante un viaggio avventuroso tra le nevi delle Alpi, un medico ricercatore alla vigilia di un importante congresso nel quale dovrà presentare, all’insaputa dei finanziatori, un principio attivo per curare le leucemie. Un romanzo che induce interrogativi inquietanti e, come una “valanga”, scuote le coscienze dei lettori.
Genesi del romanzo. L’idea della storia nasce da un racconto scritto molti anni fa ricordando una vacanza nel piccolo paese di Etruobles in Valle d’Aosta quando avevo circa 10 anni. Etroubles è un borgo medievale adagiato lungo la statale che conduce al Passo del Gran S. Bernardo. La valle è ampia e luminosa, anche se fredda perché battuta dalle correnti che vengono da nord e che si incuneano tra i monti.
Ricordo perfettamente quei giorni vissuti in un appartamentino preso in affitto dai miei genitori, in un tipico e antico fabbricato valdostano (rascard). I proprietari, contadini, avevano terreni su per la montagna, la stalla con le mucche, il fienile, e il pollaio, oltre alle cantine e all’orto. I proprietari talvolta mi conducevano con loro nei campi, facendomi salire sul mulo. Lavoravano tutto il giorno al taglio del fieno e la sera mi riportavano giù in paese. Tutto era diverso da oggi. Il paesino si è rimodernato, ha alberghi, campeggi e attrazioni. Il nucleo del paese è rimasto quasi intatto, anche se numerosi interventi di edilizia hanno modificato, ma non deturpato, l’aspetto delle case, adattate alle esigenze di un turismo sempre più esigente.
Appena più in su, a pochissima distanza c’è Saint-Oyen, un altro borgo. Di fronte, si apre la valle Flassin, una valle secondaria che piega a destra impedendo la vista della fine della valle stessa. I boschi sono ovunque. Ai piedi della valle, alle pendici del bosco, c’è una casa solitaria, oggi ampliata, ristrutturata quasi invisibile dalla strada perché ormai gli abeti la circondano. Ebbene quella casa solitaria, bagnata dal sole, con il bosco alle spalle, gli immensi campi di fronte e l’ampia valle del Gran S. Bernardo alla destra, ha sempre stimolato la mia fantasia. Tutte le volte che, seduto dietro in macchina, salivamo su al Passo non riuscivo a non guardarla e a fantasticare. Fantasticherie di un bambino che, unite ai ricordi di quel soggiorno estivo (il taglio del fieno, la mucca di nome Renetta, i salti nel fienile, il ruscello d’acqua fresca che scorreva a fianco della casa, l’odore dei pini e molto altro), hanno contribuito a caricare tutta la zona di emozioni, di sensazioni piacevoli e di particolari significati. Quel luogo, quella casa e l’ambiente circostante, sono diventati per me il rifugio ideale, il luogo della pace assoluta e della tranquillità fisica e psichica. Fantasie, è ovvio, ma tant’è. Ci si rilassa e si sopravvive anche appoggiando i pensieri su un proprio luogo ideale.
La carica emotiva si è poi in parte scaricata nella scrittura di un racconto (La valle dei mucchi di fieno dorato), premiato successivamente in un concorso letterario e pubblicato in un’antologia. Ma non era tutto, mancava ancora qualcosa, l’energia emotiva accumulata era ancora troppa e il racconto meritava di essere rielaborato e ampliato. In esso doveva esserci l’uomo di oggi e il bambino di allora; i ricordi del passato avrebbero dovuto integrarsi alla vita odierna con i suoi stress e le sue terribili contraddizioni e l’autore-protagonista dal nome tanto comune da risultare invisibile (Mario Rossi) avrebbe dovuto vivere una storia nel suo luogo ideale.
Commenti recenti