Scrivere per comprendere

Mese: Aprile 2022

Tre piani – Eshkol Nevo

Un libro potente che entra dentro e che riesce a trattenere il lettore nell’animo dei personaggi, descritti con grandissima capacità dall’autore.

La storia, tutto sommato, è semplice. In una palazzina di tre piani, dove tutto è ordinato e silenzioso, eretta in una tranquilla zona residenziale della periferia di Tel Aviv, vivono tre famiglie all’apparenza normali. Tranquille appunto.

In realtà dietro alle tre storie famigliari che inevitabilmente si intrecciano, scorrono le vite nel senso più vero e drammatico della sua accezione: scorrono cioè gli eventi, le disgrazie, le sofferenze, i desideri, i tormenti e le pulsioni.

Tre piani appunto, in accordo con la nota teoria freudiane (Es, Io e Super-io), secondo la quale è così è eretto l’edificio dell’anima.

Innegabile la grande capacità di Nevo di penetrare nelle profondità dell’animo umano e di descrivere ambienti e situazioni. L’idea di sviluppare le tre storie diverse attraverso una lunga chiacchierata, una corrispondenza epistolare e le registrazioni a una segreteria telefonica è ottima e dà la misura della capacità e della fantasia dell’autore. Particolarmente bella, a mio giudizio, per la profondità dei sentimenti è la terza e ultima parte.

Da questo libro Nanni Moretti ne ha tratto un film. Mi è piaciuto poco soprattutto a causa dell’ambientazione (Roma invece che Tel Aviv) che ha fatto perdere quell’atmosfera particolare così ben descritta da Nevo. Gli attori, seppur molto bravi, non sono riusciti a trasmettere quell’intreccio di sentimenti e di emozioni che si vivono leggendo le righe scritte dall’autore.

Un chiaro esempio di come, alle volte, la potenza della scrittura riesca a vincere sulla combinazione immagine-recitazione-suono.

Un libro che non si deve leggere con voracità ma va gustato pagina dopo pagina.

La logica algoritmica nella narrativa gialla

Pubblicato da Ala Redazione il 4 Aprile 2022

Le immagini sono fornite da Pixabay

Apprestarsi a scrivere un giallo non è affatto impresa facile perché tantissimi sono gli aspetti da prendere in considerazione. C’è una vasta letteratura in tal senso e internet pullula di siti prodighi di suggerimenti, consigli, tecniche e, soprattutto, di regole da rispettare.

Mi soffermerò solo su un punto: la trama e le tecniche per la sua stesura. È chiaro che è l’autore a pensare una storia e a deciderne l’evoluzione, ma è altrettanto chiaro quanto questo aspetto sia tra gli elementi fondamentali e quanta cura esso richieda affinché il prodotto finale sia soddisfacente per il lettore.

Si parte ovviamente dall’idea per passare subito alla costruzione del canovaccio, prima che l’idea stessa evapori. In qualità di ex informatico, non ho potuto fare a meno di constatare come la scrittura della storia sia simile alla logica della programmazione. L’errore infatti è sempre dietro l’angolo. 

Esattamente come si fa nell’implementazione di un algoritmo, o di un programma vero e proprio, occorre tenere conto di tutte le condizioni possibili, anche di quelle più improbabili, pena il malfunzionamento del programma e la restituzione di dati errati.

Nel pensare un giallo, pur essendo chiaro all’autore lo sviluppo della storia, occorre fare un ulteriore lavoro, forse più complesso e articolato rispetto alla stesura di un algoritmo: simulare che l’evento sia vero e poi indossare alternativamente i panni del criminale, al quale farà compiere certe azioni, e dell’investigatore, che s’impegnerà al massimo nell’indagine.

È ovvio che la trama è invenzione dello scrittore, che può svilupparla come vuole in un qualsiasi contesto ambientale, ma non si può assolutamente stilare l’elenco dei passi dall’inizio alla fine, senza prevedere i possibili eventi casuali. Si rischia di arrivare alla soluzione e non rendersi conto che nel ragionamento sono presenti falle, contraddizioni o eventualità che avrebbero potuto portare molto prima alla soluzione del caso. In pratica, rispetto alla scrittura algoritmica, nella stesura della trama di un Giallo è come se ci fosse una controparte (l’investigatore) che nell’indagare reagirà alle azioni definite dall’autore. Un sistema che in un certo qual modo si potrebbe definire dinamico.

Faccio un esempio. La scena si svolge in piena notte, un uomo deve uscire da casa, recarsi in un certo luogo, attraversare una strada oltre la quale compirà un omicidio e, ovviamente, non vorrà farsi scoprire. Bene, due sono le soluzioni. Quella più semplice induce l’autore a descrivere staticamente le azioni una dietro l’altra senza curarsi dei dettagli. L’altra è quella algoritmica.

Ha programmato tutto? Come ha lasciato l’abitazione? A quale ora? Qualcuno l’ha visto uscire di casa? Com’è arrivato sul luogo del delitto? A piedi, in macchina o con quale mezzo? Chi potrebbe averlo visto lungo la strada? È buio e non c’è nessuno. Ne è sicuro? E se invece qualcuno che lui non vede è acquattato da qualche parte? Ha tenuto conto delle possibili telecamere? E il cellulare dove l’ha lasciato? Se l’ha portato con sé, lo sa che potrà essere in seguito tracciato dagli inquirenti? Quale arma userà? È un’arma idonea? In quale modo affronterà la futura vittima, è in grado di aggredirla nella maniera sperata o c’è il rischio di una reazione? Quanto tempo impiegherà a compiere l’omicidio? È realmente compatibile con i tempi necessari al suo ritorno senza rischiare di essere scoperto? In definitiva le domande da porsi prima di ogni azione sono moltissime.

Ecco, è nella stesura della trama che deve intervenire la logica algoritmica dell’autore-programmatore e, a meno che non sia previsto un bug (in informatica, errore di funzionamento di un programma) e che questo sia l’errore voluto che permetterà di incastrare il colpevole, errori di programmazione non ce ne devono essere e tutto deve essere minuziosamente valutato prima. Esattamente come in un algoritmo, la trama deve essere studiata nei dettagli, step dopo step, per evitare quei tanto odiati fatal error  o runtime error che determinano lo stop del programma o peggio ancora la figuraccia dell’autore che non ha previsto, o non ha visto, l’imprevisto.

Marco Rodi