Cuore che passa da una mano a un'altra con, sullo sfondo, una sala operatoria
Immagine tratta da Giornale Ibleo https://www.giornaleibleo.it/tag/donazione/

Un inizio di tante cose – Marco Rodi

Era la prima volta, l’emozione indescrivibile, al Salone del libro di Torino. L’invito dell’editore, più un diktat che non un invito vero e proprio. Il mio libro in fiera, nello stand della casa editrice. La prenotazione dell’albergo, il viaggio, la scelta dei vestiti da alternare durante i giorni dell’esposizione. Come vestirsi? Cosa dire? Come affrontare i lettori? Mille domande rivolte alla praticità di mia moglie. Per certe cose la presenza delle donne è indispensabile.

«Troverà altri colleghi lì che, come lei, intratterranno i visitatori qualora fossero interessati al suo lavoro». Queste furono le parole dell’editore, un uomo con oltre trent’anni di esperienza, pratico e smaliziato.

Non ero mai stato a quella fiera, la più importante d’Italia, una quantità sterminata di libri, stand, voci, luci, conferenze, visitatori, troupe televisive, personaggi noti e perfetti sconosciuti come me.

Lo stand è bello, colorato, i libri sono ben disposti e catturano l’attenzione. I miei occhi scorrono sulle copertine, sui formati, sui titoli. Osservo autori ed editori per cercare di capire come inserirmi in una realtà che mi è nuova. È comunque un sogno.

Fu lì che la conobbi, era un’autrice, una collega insomma. Come me alle prime armi e come molti tra le figure che si aggiravano, un po’ automi e un po’ spaesati, nello stand. Una certa diffidenza all’inizio. Ci si guarda, ci si saluta, ci si presenta. Poi cominciano le confidenze, quelle legittime, quelle superficiali. Da dove vieni, cosa scrivi, come sei arrivato alla casa editrice. Ci si valuta, ci si soppesa, ci si confronta. Intanto si incontrano i lettori, si presenta il libro e la sua genesi. Lei è bella, è giovane ed è più spigliata di me. Ci sa fare, si vede.

A poco a poco, ci si conosce. Io sono un insegnante, lei un medico. È da sola, la figlia non è venuta, il suo viaggio è stato più lungo del mio. Torino è al Nord, lei viene da lontano.

Abbiamo argomenti in comune e interessi che vanno oltre la scrittura. Mi piace come persona e non solo per l’aspetto fisico, è simpatica e intelligente ed è un’acuta osservatrice.

Avrei alcune domande da rivolgerle perché, con i lettori, la sento parlare di trapianti. Non oso, mi sembra di essere troppo invadente. È un argomento un po’ insolito per un romanzo. Però è un medico, magari il suo lavoro l’ha portata a fare esperienze dirette e un caso l’avrà colpita in maniera più profonda.

Mi rammarico per non aver letto il suo libro, lo faccio sempre di leggere opere di altri colleghi prima di pubblicare con una casa editrice. Non è presunzione, è prudenza, l’editoria è un settore nel quale ci si può imbattere in molta improvvisazione e poca serietà.

Vado dall’editore e compro il libro della collega, poi mi faccio fare la dedica dalla nuova amica. Quello che mi scrive mi piace, è centrato; in qualche modo è riuscita a comprendere di me aspetti che non avrei immaginato. Una donna sorprendente.

La guardo ammirato e il sorriso che ci scambiamo comunica più di mille parole.

Passano le ore e finisce la prima giornata. Siamo stanchi, lei ha venduto più di tutti. Tra mille interruzioni, abbiamo parlato molto, consumato litri di caffè e divorato panini schifosi. Adesso tutti corriamo verso i rispettivi alberghi. Mia moglie ed io faremo prima un salto in trattoria per un pasto decente. Lei, Antonia, così si chiama, consumerà invece un tè con i biscotti e andrà subito a letto. Il suo libro mi pesa, tra i molti comprati, e non vedo l’ora di leggerlo. Così faccio appena giunto in camera.

La sua scrittura è scorrevole e piacevole, ci sa fare con la penna. La storia comincia a delinearsi, l’ambientazione è buona e lei è abilissima a far entrare i lettori nell’animo dei personaggi.

Si parla di un medico, una dottoressa che, a causa di una malformazione congenita, sarà costretta a sottoporsi a un delicatissimo trapianto. Le sue condizioni di salute stanno precipitando, è una corsa contro il tempo, ma non è facile trovare il donatore giusto e le richieste sono molte. Soprattutto sono ben descritti i sentimenti del medico che, in questo caso, è anche un paziente consapevole. La sua paura folle dell’intervento, le cui possibilità di successo sono minime, mi contagia. Rapito dalla lettura, le mie ore notturne fluiscono via con mia moglie che, dorme stanca e serena accanto a me. Si è girata dall’altra parte, ma io ho messo lo stesso una sciarpa sulla lampada del comodino per ridurre l’intensità della luce e arrecarle il minor disturbo possibile. Ogni tanto controllo, muovendomi piano, che l’indumento non si bruci a contatto con la lampadina. Tutto è regolare, a parte la notte che si sta sciogliendo lenta tra le pagine della mia collega autrice. Domattina, anzi oggi, sarò uno straccio, ma la lettura mi ha preso, voglio conoscere l’evoluzione della storia che, ormai l’ho capito, anche se ben camuffata, è autobiografica.

La protagonista-paziente è lei, Antonia, la mia nuova amica e collega di penna, donna sensibilissima e acuta osservatrice. Ma la storia prosegue nel dramma che si sta consumando tra le mura domestiche, dove il marito, terrorizzato dalla futura e quasi certa vedovanza, anticipa i tempi e si trova un’amante. Ovviamente, alle preoccupazioni per il trapianto e le conseguenze che dovrà sopportare per tutta la vita, la protagonista deve aggiungere il dolore per l’inatteso tradimento e la gestione del proprio imminente futuro senza il supporto del proprio compagno di vita.

Immagine tratta dal sito Donazione e trapianti – Policlinico San Matteo Pavia Fondazione IRCCS

Ma non ce la faccio a terminare la lettura, il sonno mi coglie e mi addormento con il libro che mi crolla sul petto. Nemmeno ricordo di avere spento la luce, oppure l’ha fatto mia moglie svegliandosi.

Appena arrivato allo stand, il suo sguardo luminoso, a dispetto del mio, spento e cerchiato dalle occhiaie, mi interroga subito. Immagina che abbia letto il libro e così è. Anche se non l’ho finito sono ormai a buon punto. È ansiosa, vuole un mio parere.

«Umano o professionale?», le chiedo mentre guardo il mio libro che tiene sotto il braccio. Le orecchie in alcune delle pagine, segno che alcune cose l’hanno particolarmente colpita, mi stanno a indicare che anche lei non ha resistito alla curiosità. Anch’io sono ansioso di conoscere la sua opinione, ma non lo do a vedere, consapevole che la sua storia è più profonda e più intensa della mia, che è tutta inventata.

E così parliamo e lei mi racconta la sua esperienza. Mi parla delle difficoltà dell’intervento, delle complicanze successive, dei giorni del dolore, ma anche di quelli della rinascita. Avrebbe voluto sapere qualcosa sul donatore o sulla donatrice. Non si può, ma è meglio così, la fantasia e le aspettative giocano ruoli favorevoli, ammantano di aura una persona anonima e sconosciuta.

Ha una calza smagliata. Con un certo imbarazzo glielo faccio notare.

«Accidenti», mi risponde, girandosi e tirando su un polpaccio per controllare, «Adesso me le cambio, ne porto sempre un paio di riserva». E così dicendo si avvia verso i bagni con il suo passo femminile e sinuoso, i capelli lunghi e biondi che le dondolano.

E per me è la prima volta, in giorni carichi di prime volte, che percepisco il vero valore di una donazione, di un atto di generosità gratuito e potente. Perché si sa che se doni un organo salvi una vita, ma ci si pensa sempre in modo distratto, non diretto, come un evento remoto che in fondo non ci tocca. Invece adesso davanti a me c’è la prova: una donna che, grazie alla donazione di un organo, continua a vivere, operare, impegnarsi, con intelligenza, capacità e fascino. Una risorsa per tutti noi, una risorsa da tenere in vita in tutti i modi.

Ci siamo persi di vista ovviamente. Per scrivere questo racconto e la curiosità mi hanno spinto, a distanza di molti anni e, a cercare su internet sue notizie. L’ho fatto con una certa apprensione. Con gioia ho scoperto che è sempre viva, che lavora e che sta facendo una buona carriera. Non mi pare, però, di aver trovato traccia di altre successive pubblicazioni, se non nel campo medico. Peccato perché era brava anche come scrittrice. E mentre scrivo queste ultime righe, la rivedo allontanarsi decisa e sensuale a cambiarsi le calze smagliate.

Racconto finalista al Concorso “Il dono per la Vita”.