Principi generali che sottendono il processo di innamoramento
Bene, fatta la premessa, peraltro non esaustiva, entriamo nel merito e chiediamo a una qualsiasi persona che vive una relazione di coppia cosa del partner l’ha fatto innamorare.
Rimarrà stupito per la domanda e, dopo un attimo di riflessione, risponderà adducendo le motivazioni più comuni: è simpatico, bello, mi fa tanto ridere, ci parlo molto bene, mi capisce e via discorrendo. Ovviamente sono tutte motivazioni legittime e vere, ma non sono quelle vere vere; sono le più logiche e più immediate, quelle che risiedono nello strato più esterno del nostro cervello. Quelle reali sono un po’ più in fondo. Volete una riprova sulla verità di quanto ho affermato?
Eccola. Di fronte a due o più persone belle, simpatiche, intelligenti e che mi fanno tanto ridere, io non mi innamoro di tutte in ugual misura. Tra queste ce ne sarà una che più di altre catturerà la mia attenzione.
Ecco, è proprio su questa considerazione che dobbiamo riflettere. Dobbiamo cioè indagare noi stessi prima di indagare la persona che ci sta di fronte. Cioè devo chiedermi come quella persona mi suona dentro.
Quindi un altro esercizio che consiglierei è proprio questo: trovare le vostre motivazioni di superficie e subito dopo cimentarvi in un’immersione in apnea nello strato appena più sotto del vostro essere. Ovviamente chi ha già una relazione stabile può ugualmente mettersi alla prova. Con tutta probabilità avrà qualche sorpresa.
Interrogarci sulle vere motivazioni che ci hanno indotto a innamorarci del nostro partner è un’indagine non facile. Per muovere i primi passi dentro di noi dobbiamo fare riferimento alla nostra famiglia d’origine perché è l’UNICO ESEMPIO, l’unico modello che conosciamo a fondo. In esso ci siamo formati; di esso, come una spugna marina, ci siamo imbevuti e ne abbiamo assorbito, senza accorgercene, la mentalità, “la filosofia”, cioè il modo di comportarci, di pensare e di vivere l’intreccio delle relazioni. Nel bene o nel male è la nostra famiglia d’origine quella di riferimento. Non ne abbiamo avute altre di tale importanza.
Chi erano mio padre e mia madre, come si comportavano, come trattavano noi figli, qual era la relazione tra loro, che cosa succedeva quando c’erano dei problemi o delle soddisfazioni.
Soprattutto è indispensabile analizzare i pregi e i difetti dei genitori, le relazioni con i parenti più prossimi, con i datori di lavoro, con i vicini di casa, con gli amici ecc. L’elenco è lungo. Studiare questi particolari e sviscerarli con occhio distaccato è una delle chiavi per conoscerci. Ma dobbiamo essere obbiettivi. Soprattutto non dobbiamo ritrarci, ma dobbiamo scavare là dove avvertiamo una punta di dolore.
Che cosa mi piaceva della mia famiglia e che cosa detestavo, quali erano le cose che mi facevano soffrire e quelle che mi facevano gioire. Come mi guardavano mio padre e mia madre; erano troppo severi? Lo erano il giusto o erano accondiscendenti? E in quale misura? Quanto mi valorizzavano o mi umiliavano? Il troppo, il giusto o il troppo poco. Ed io come reagivo? Quali erano le mie modalità di reazione o di adattamento?
Un lavoro di analisi difficile – perché smuove emozioni, ricordi, sensazioni magari dolorose – che va condotto possibilmente con un distacco emotivo, senza pietà, senza nascondere la testa sotto la sabbia e senza enfatizzare. Buona norma sarebbe anche scrivere quello che viene fuori. La potenza della scrittura permette di valutare e di narrare come se fossimo dei terzi estranei. Facendolo prenderemmo le distanze da noi e dal nostro vissuto. Mille domande dunque che dobbiamo porci alternando sentimento a logica, molto meglio se aiutati da un professionista che con lo studio, l’esperienza e l’adattamento al soggetto, saprà offrire, attraverso un approccio maieutico, un ventaglio di possibilità, liberando la persona dall’idea unica, che spesso è la gabbia vera e propria dalla quale non si riesce a uscire, a vantaggio dei possibili rapporti interfamiliari. È un lavoro troppo importante per essere lasciato al caso, alla fortuità dell’incontro e all’emotività del momento, ne va ovviamente della vita di ciascuno. Efficaci relazioni tra compagni di vita sono il fondamento per un’esistenza priva di sopraffazioni, incomprensioni, ricatti e reciproche violenze.
Da tutte queste considerazioni può scaturire una valutazione forse inedita ma, di sicuro, più obbiettiva di noi stessi. Una valutazione che differirà da quella emotiva che abbiamo dentro di noi, quella più difficile da rimodulare, analiticamente parlando, perché impressa nella parte più intima di noi. Questa è quella che bussa più forte e che ci condiziona. È sullo scarto tra la valutazione razionale e quella emotiva che si giocano le scelte che possono correggere appena le attrazioni pulsionali. Perché noi, Freud ce lo insegna molto bene, negli anni della nostra crescita abbiamo accumulato tutta una serie di emozioni positive e negative che, con gli scarsi mezzi a disposizione e senza ancora un senso critico sviluppato, ci hanno inoculato l’idea della famiglia e del compagno ideale che vorremmo. In accordo o in contrapposizione (conseguenza/scelta relativa).
Quello che faceva mio padre lo rifaccio anch’io perché ho assorbito solo quel modello comportamentale e caratteriale. Quello che faceva mia madre lo condanno decisamente, oppure “Sì d’accordo, erano così ma…”. Ma anche “No, erano buoni genitori, tuttavia…”.
In ogni caso qualcosa d’insoluto dentro ciascuno di noi è rimasto: un desiderio, qualche sofferenza, forse dei traumi. La vita è così complessa, strana e imprevedibile che riserva continue sorprese; ci modula, ci rimodula e ci scava dentro e fuori.
Un’altra domanda da porsi è la seguente: è rimasto troppo amore per mio padre (Elettra) o per mia madre (Edipo)? È rimasto un amore/ammirazione tale da spingerci a cercare una persona con gli stessi difetti, se non addirittura più gravi, del genitore?
Da qui, proprio da qui, nasce la scelta, l’attrazione fatale.
Perché io sono attratto da Rita che è qui davanti a me e non da Rosalba, anche lei qui davanti a me ed è anche più bella di Rita? Che cos’ha di particolare Rita rispetto a Rosalba? Eppure io non conosco nessuna delle due e non so niente di loro, ma mi arriva qualcosa che loro mi inviano. In verità è il mio io più profondo che gioca e valuta. È il mio inconscio che ha fatto una selezione, ha visto un qualcosa che mi riporta a mia madre o alla vita in famiglia: atteggiamenti, carattere, sorriso, una mezza frase, una posizione, la forma della mano, il suo modo di parlare. E il mio inconscio ha deciso che sì, è Rita quella che… Ed è ancora drammaticamente il mio inconscio che “si è girato un film” su Rita perché, sorpresa tra le sorprese, Rita potrebbe non avere affatto le caratteristiche che mi garantiscono “il benessere assoluto per tutta la vita”. Sono io che l’ho immaginato per una serie di fortunate/sfortunate coincidenze e sarà il futuro a decretare il successo o l’insuccesso della mia fantasia. Adesso è il momento della sedimentazione; al prossimo incontro gli ulteriori approfondimenti.
Marco Rodi
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