Scrivere per comprendere

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I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte Seconda

Principi generali che sottendono il processo di innamoramento

Due ragazze e un ragazzo sulla spiaggia e commentano un libro aperto
Foto di Ron Lach – Pexels

Bene, fatta la premessa, peraltro non esaustiva, entriamo nel merito e chiediamo a una qualsiasi persona che vive una relazione di coppia cosa del partner l’ha fatto innamorare.

Rimarrà stupito per la domanda e, dopo un attimo di riflessione, risponderà adducendo le motivazioni più comuni: è simpatico, bello, mi fa tanto ridere, ci parlo molto bene, mi capisce e via discorrendo. Ovviamente sono tutte motivazioni legittime e vere, ma non sono quelle vere vere; sono le più logiche e più immediate, quelle che risiedono nello strato più esterno del nostro cervello. Quelle reali sono un po’ più in fondo. Volete una riprova sulla verità di quanto ho affermato?

Eccola. Di fronte a due o più persone belle, simpatiche, intelligenti e che mi fanno tanto ridere, io non mi innamoro di tutte in ugual misura. Tra queste ce ne sarà una che più di altre catturerà la mia attenzione.

Ecco, è proprio su questa considerazione che dobbiamo riflettere. Dobbiamo cioè indagare noi stessi prima di indagare la persona che ci sta di fronte. Cioè devo chiedermi come quella persona mi suona dentro.

Quindi un altro esercizio che consiglierei è proprio questo: trovare le vostre motivazioni di superficie e subito dopo cimentarvi in un’immersione in apnea nello strato appena più sotto del vostro essere. Ovviamente chi ha già una relazione stabile può ugualmente mettersi alla prova. Con tutta probabilità avrà qualche sorpresa.

Interrogarci sulle vere motivazioni che ci hanno indotto a innamorarci del nostro partner è un’indagine non facile. Per muovere i primi passi dentro di noi dobbiamo fare riferimento alla nostra famiglia d’origine perché è l’UNICO ESEMPIO, l’unico modello che conosciamo a fondo. In esso ci siamo formati; di esso, come una spugna marina, ci siamo imbevuti e ne abbiamo assorbito, senza accorgercene, la mentalità, “la filosofia”, cioè il modo di comportarci, di pensare e di vivere l’intreccio delle relazioni. Nel bene o nel male è la nostra famiglia d’origine quella di riferimento. Non ne abbiamo avute altre di tale importanza.

Chi erano mio padre e mia madre, come si comportavano, come trattavano noi figli, qual era la relazione tra loro, che cosa succedeva quando c’erano dei problemi o delle soddisfazioni.

Soprattutto è indispensabile analizzare i pregi e i difetti dei genitori, le relazioni con i parenti più prossimi, con i datori di lavoro, con i vicini di casa, con gli amici ecc. L’elenco è lungo. Studiare questi particolari e sviscerarli con occhio distaccato è una delle chiavi per conoscerci. Ma dobbiamo essere obbiettivi. Soprattutto non dobbiamo ritrarci, ma dobbiamo scavare là dove avvertiamo una punta di dolore.

Padre e madre seduti su una panchina con bambino piccolo in piedi tra loro
Foto di Misho Cha – Pexels

Che cosa mi piaceva della mia famiglia e che cosa detestavo, quali erano le cose che mi facevano soffrire e quelle che mi facevano gioire. Come mi guardavano mio padre e mia madre; erano troppo severi? Lo erano il giusto o erano accondiscendenti? E in quale misura? Quanto mi valorizzavano o mi umiliavano? Il troppo, il giusto o il troppo poco. Ed io come reagivo? Quali erano le mie modalità di reazione o di adattamento?

Padre seduto in poltrona che rimbrotta il figliolettoe rimbrotta il figlioletto
Foto di August de Richelieu – Pexels

Un lavoro di analisi difficile – perché smuove emozioni, ricordi, sensazioni magari dolorose – che va condotto possibilmente con un distacco emotivo, senza pietà, senza nascondere la testa sotto la sabbia e senza enfatizzare. Buona norma sarebbe anche scrivere quello che viene fuori. La potenza della scrittura permette di valutare e di narrare come se fossimo dei terzi estranei. Facendolo prenderemmo le distanze da noi e dal nostro vissuto. Mille domande dunque che dobbiamo porci alternando sentimento a logica, molto meglio se aiutati da un professionista che con lo studio, l’esperienza e l’adattamento al soggetto, saprà offrire, attraverso un approccio maieutico, un ventaglio di possibilità, liberando la persona dall’idea unica, che spesso è la gabbia vera e propria dalla quale non si riesce a uscire, a vantaggio dei possibili rapporti interfamiliari. È un lavoro troppo importante per essere lasciato al caso, alla fortuità dell’incontro e all’emotività del momento, ne va ovviamente della vita di ciascuno. Efficaci relazioni tra compagni di vita sono il fondamento per un’esistenza priva di sopraffazioni, incomprensioni, ricatti e reciproche violenze.

Da tutte queste considerazioni può scaturire una valutazione forse inedita ma, di sicuro, più obbiettiva di noi stessi. Una valutazione che differirà da quella emotiva che abbiamo dentro di noi, quella più difficile da rimodulare, analiticamente parlando, perché impressa nella parte più intima di noi. Questa è quella che bussa più forte e che ci condiziona. È sullo scarto tra la valutazione razionale e quella emotiva che si giocano le scelte che possono correggere appena le attrazioni pulsionali. Perché noi, Freud ce lo insegna molto bene, negli anni della nostra crescita abbiamo accumulato tutta una serie di emozioni positive e negative che, con gli scarsi mezzi a disposizione e senza ancora un senso critico sviluppato, ci hanno inoculato l’idea della famiglia e del compagno ideale che vorremmo. In accordo o in contrapposizione (conseguenza/scelta relativa).

Quello che faceva mio padre lo rifaccio anch’io perché ho assorbito solo quel modello comportamentale e caratteriale. Quello che faceva mia madre lo condanno decisamente, oppure “Sì d’accordo, erano così ma…”. Ma anche “No, erano buoni genitori, tuttavia…”.

In ogni caso qualcosa d’insoluto dentro ciascuno di noi è rimasto: un desiderio, qualche sofferenza, forse dei traumi. La vita è così complessa, strana e imprevedibile che riserva continue sorprese; ci modula, ci rimodula e ci scava dentro e fuori.

Un’altra domanda da porsi è la seguente: è rimasto troppo amore per mio padre (Elettra) o per mia madre (Edipo)? È rimasto un amore/ammirazione tale da spingerci a cercare una persona con gli stessi difetti, se non addirittura più gravi, del genitore?

Da qui, proprio da qui, nasce la scelta, l’attrazione fatale.

Perché io sono attratto da Rita che è qui davanti a me e non da Rosalba, anche lei qui davanti a me ed è anche più bella di Rita? Che cos’ha di particolare Rita rispetto a Rosalba? Eppure io non conosco nessuna delle due e non so niente di loro, ma mi arriva qualcosa che loro mi inviano. In verità è il mio io più profondo che gioca e valuta. È il mio inconscio che ha fatto una selezione, ha visto un qualcosa che mi riporta a mia madre o alla vita in famiglia: atteggiamenti, carattere, sorriso, una mezza frase, una posizione, la forma della mano, il suo modo di parlare. E il mio inconscio ha deciso che sì, è Rita quella che… Ed è ancora drammaticamente il mio inconscio che “si è girato un film” su Rita perché, sorpresa tra le sorprese, Rita potrebbe non avere affatto le caratteristiche che mi garantiscono “il benessere assoluto per tutta la vita”. Sono io che l’ho immaginato per una serie di fortunate/sfortunate coincidenze e sarà il futuro a decretare il successo o l’insuccesso della mia fantasia. Adesso è il momento della sedimentazione; al prossimo incontro gli ulteriori approfondimenti.

Marco Rodi

I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte Seconda

I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte terza

I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte Prima

Principi generali che sottendono il processo di innamoramento

Ragazzo e ragazza proni mano nella mano
Pexels – Foto di Leah Kelley

Mi è doveroso premettere che nelle pagine che seguiranno non ci saranno asserzioni assolute, ma principi generali. L’argomento è talmente vasto, complesso e articolato che solo un lavoro di analisi individuale presso un analista o uno psicoterapeuta potrà svelare ciò che effettivamente si cela nella psiche di un individuo desideroso di interrogarsi a fondo.

Cominceremo la nostra trattazione con una serie di domande molto comuni, talmente comuni da sembrare banali, per svelare cosa si nasconde dietro il sentimento più forte che tutti hanno provato almeno una volta nella vita: l’amore.

Che cosa succede quando scocca la famosa scintilla?

Perché, con amarezza e scuotendo la testa, si ode spesso dire dalle donne: “Tutti gli uomini sono uguali”? Oppure affermare con disprezzo da parte di un uomo che “Tutte le donne sono p…”?

Ma spesso ci stupiamo anche quando vediamo resistere tutta la vita coppie talmente eterogenee, per aspetto fisico o per carattere, che siamo indotti a esclamare: “Come fanno quei due a stare insieme? Oppure: “Cosa ci troverà mai in quello/quella?”.

E poi c’è la domanda delle domande, quella drammatica che scatena i sentimenti di frustrazione, di rivalsa, di odio, di disperazione o di rabbia quando ci troviamo in presenza di un tradimento o di un abbandono per la presenza di un altro: “Che cos’ha lui/lei che io non ho?”.

Ma tratteremo in parte anche l’aspetto della solitudine, quella che ci fa affermare: “Rimarrò sempre solo/sola” oppure “Non esiste la mia anima gemella”.

Per dare una risposta, ovviamente non esaustiva, data la complessità dell’argomento e le innumerevoli dinamiche in gioco, cercheremo di svelare in queste righe ciò che di misterioso si agita nelle profondità del nostro inconscio. In pratica quello che si muove dentro di noi, assolutamente sconosciuto a noi, che ci governa e ci manovra a nostra completa insaputa. In definitiva, in amore come in tutti i settori della nostra vita, noi non siamo affatto liberi, crediamo di poter scegliere, ma non è così perché tutto ciò che si intreccia nel nostro io e ci condiziona è sempre una combinazione di DNA, apprendimenti avuti dalla vita ed eventi casuali.

Faccio subito un esempio. La mia nipotina, 3 anni appena compiuti, molto bella e vivace, carattere deciso, bionda, occhi azzurri, ha spezzato il suo primo cuore. Un compagnuccio dell’asilo si è innamorato di lei. Le sta sempre intorno, la difende, dice a tutti che è fidanzato con lei e le ha regalato una collana fatta con ciucci di vari colori. Sì, i ciucci, i succhiotti, quelli che si danno ai bambini piccolissimi per farli dormire e che sono il surrogato del seno materno. Sorvolo assolutamente, anche se non dovrei, sul significato profondo del ciuccio (Freud, fase orale) e sul fatto che l’abbia usato come suo regalo all’amata.

È chiaro che il piccolo non ha alcuna percezione conscia di quello che è l’amore, ma prova e ha provato delle sensazioni e delle emozioni, associa cioè il ciuccio al benessere che vuole raggiungere e sposta la sua attenzione dal bene supremo dell’unità con la madre (il ritorno nell’utero, la pace primordiale) a una figura alternativa che gli ricorda la madre, attratto da mia nipote per i modi di fare, gli atteggiamenti o forse il solo aspetto fisico. Ovviamente, ma non è ovvio per niente, lei nemmeno se lo fila, come si direbbe in un gergo meno scientifico. Il bambino immagina, fantastica, associa e si illude tutto da solo.

In qualche altro asilo della città potrà verificarsi una situazione completamente opposta: una qualunque bambina innamorata di un compagnuccio ignaro e disinteressato.

Bambino e bambina seduti che parlano felici
Pexels- Foto di Roxanne Minnish

Già queste poche righe sono estremamente significative per certificare che l’attrazione e l’innamoramento sono processi naturali di cui alla nascita siamo già incompiutamente corredati. La consapevolezza verrà dopo, in parte e solo per coloro che amano indagarsi. Per il resto saranno i noti luoghi comuni che dureranno tutta la vita.

Ora farò alcune affermazioni che potranno giustamente essere contestate. Il lettore non le prenda come assolute perché non lo sono, sono casi e, data la varietà del genere umano, sono tantissimi, tutti diversi tra loro e altrettanto validi. Io ne cito qualcuno, ma quello che vorrei sottolineare è che è la regola generale ad essere assoluta, cioè il funzionamento della psiche umana. Sono le scelte individuali che ne conseguono ad essere relative. E cambiano caso per caso.

Il primo errore che tutti commettiamo è quello di immaginare, o meglio illuderci, che tutto il mondo di sesso opposto o, più in generale, quello verso il quale siamo orientati, sia un’immensità uniforme che non riesce a resistere al nostro fascino. Niente di più sbagliato. Non è così che funziona, anche se il desiderio di ciascuno è quello di essere riconosciuto e amato dagli altri, sempre nell’ottica del raggiungimento egoistico del bene assoluto per noi (l’unità primordiale).

Il secondo comunissimo errore è quello di ritenere che l’aspetto fisico di una persona sia determinante. Anche questo è sbagliato, sebbene una bella presenza favorisca in maniera considerevole e apra il primo potente cancello d’ingresso per catturare l’attenzione dell’altro. Se si è bruttini e insignificanti le cose si complicano, è ovvio, ma non di molto. Vedremo perché.

Il terzo comunissimo errore è quello di credere che tutti siano uguali a noi, abbiano i nostri gusti, pensino e si comportino esattamente come noi.

Tutto ciò si può riassumere nell’errore degli errori: ritenere che tutti gli uomini e tutte le donne del mondo siano uguali, cioè gli esseri umani siano, come dicevo prima, una massa uniforme e omologata.

Lo sappiamo benissimo che non è così ma, di fatto, ci comportiamo come se non lo sapessimo.

Questi errori portano a sorpresa, stupore, delusione, costernazione, incomprensioni e conflitti, difficoltà nei rapporti con gli altri, isolamento e così via fino all’infelicità totale e alla depressione. Ci stupiamo di fronte a reazioni diverse dalle nostre e a comportamenti che escono da quelli che riteniamo essere i canoni tradizionali, quelli dettati dal contesto sociale nel quale viviamo. E ci stupiamo anche se la persona sulla quale abbiamo posato lo sguardo non risponde al nostro interesse con un pari interesse, se non addirittura maggiore. Così nasce spontanea e devastante la domanda: “Com’è possibile che non si accorga di me? Eppure io sono così e sono cosà…”, facendo seguire alle parole un autoincensante elenco delle nostre qualità. Ma può anche capitare una reazione diversa, autodistruttiva, ma, ripeto, queste sono le conseguenze alla regola generale, cioè al funzionamento della nostra psiche,

Giunti a questo punto, c’è abbastanza materiale di riflessione. Suggerirei quindi al lettore di soffermarsi su quanto detto e di mettere a fuoco qualche idea. Nel prossimo articolo andremo a scoprire la regola generale. In psicologia occorre sempre fare sedimentare certi concetti.

Marco Rodi



I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte Seconda

I segreti (segreti, segreti) dell’amore – Parte terza