Non si può rimanere che attoniti di fronte alle notizie di questi giorni. Solo chi conosce un po’ di psicologia e le tipologie caratteriali, ha capito subito l’impossibilità di dialogo con l’imperatore di turno. Le parole non servono con chi vuole a tutti i costi la rissa (in questo caso la guerra).
Ancora una volta si ripropone lo scenario che la storia ci ha insegnato. Conosciamo bene le conseguenze, conosciamo anche l’epilogo che è sempre lo stesso, si modifica un po’, ma tutti gli imperi nascono nella stessa maniera e nella stessa maniera si dissolvono. In genere con la morte dell’Imperatore, spesso nascosto in una buca, in un bunker o in un qualunque rifugio di fortuna. Talvolta è solo, talaltra in compagnia di pochi fedelissimi. Non si scappa da questo scenario. Eppure…
Eppure si ripete sempre, è insito nel genere umano. Gli insegnamenti non illuminano, né i popoli smettono di subire il fascino dell’uomo forte. A lui si affidano e a lui delegano un’estensione del proprio io con l’idea inconscia del io, attraverso te, divento un po’ come te. Tu mi rappresenti là dove io non arrivo a rappresentarmi.
Ogni dittatore ha il suo piccolo o grande regno: una famiglia, un reparto, un’azienda, uno stato, un impero. Su questo esercita la sua nevrosi: l’eccesso di potere, di violenza, di cinismo. Il problema è che, data la tenacia dell’uomo forte, la difficoltà è poi quella di liberarsi dall’oppressore. Pochi sono in grado di difendersi dall’uomo forte, visto come colui, o colei, che protegge, scelto proprio per la sua forza. D’accordo, difende dagli attacchi esterni, ma il difeso dovrà corrispondere con una sudditanza assoluta. Non ci sono ragioni che lo facciano desistere dal raggiungimento di un obiettivo, è un combattente, ama e si nutre dello scontro, non ha pietà e non si ferma davanti a nulla. I film sono pieni di storie con i veri cattivi che non muoiono mai. Alle volte, sempre nei film, tornano in vita anche dopo la morte per colpire di nuovo e per morire insieme al rivale. Questo rende bene l’idea della determinazione.
Il risultato dell’avere un capo come compagno di vita o superiore o governante è un cliché: il dittatore semina sofferenza e dolore. In un ambito più ampio, morte e distruzione.
I nostri tempi sono scanditi dalla comparsa di dittatori, non statisti, e dittatorucoli che ambiscono finire sui libri di storia. Chi rivuole la grande Russia, chi l’Impero Ottomano, chi la grande Cina, chi l’egemonia democratica sul pianeta, chi sogna il ritorno della Mesopotamia, chi il nazismo e così via, all’infinito, uno dopo l’altro. Ciascuno di questi sognatori provoca solo distruzioni, morti e dolori. E ogni volta si fanno proclami, sanzioni inutili, riunioni all’ONU con il solo risultato di emanare, a causa dei veti incrociati, inefficaci risoluzioni. E il mondo sta a guardare quando, invece, tutti gli stati dovrebbero contribuire alla costituzione di un esercito mondiale di polizia, capace di intervenire subito, reprimere e rimuovere dal potere, ai primi cenni di dittatura, il prepotente di turno. Ma così non è e per noi sono il clamore delle bombe e le immagini delle devastazioni e delle sofferenze.
Tanto rumore si spegne, però, e svanisce, se solo ci si alza un po’ in volo; bastano pochi chilometri per non accorgersi più di niente. Il mondo rimpicciolisce sotto il nostro sguardo e si incurva, e l’inutile frenesia umana scompare del tutto. In orbita intorno alla Terra possiamo ammirare il nostro bel pianeta, nei suoi bellissimi colori. È lì, silenzioso e tranquillo, è un’oasi di pace che ci infonde serenità e ci rallegra.
Ma noi vogliamo andare ancora più lontano, dunque aumentiamo la velocità del nostro vettore spaziale per correre velocissimi verso lo spazio infinito. La nostra Terra diventa sempre più piccola mentre noi ci inoltriamo sempre di più all’interno della Via Lattea, la nostra galassia, dove miliardi di stelle, pianeti, gas, polvere, radiazione e materia oscura, sono gravitazionalmente tenuti insieme.
Spazi sterminati, bui ma punteggiati di luci, verso i quali ci dirigiamo, si aprono di fronte a noi. Solo per un attimo ci voltiamo indietro e notiamo che la Terra ormai non esiste più. Ma noi vogliamo andare oltre. Molto oltre. Avremo tanta strada da percorrere e sappiamo che ci occorrerà l’immortalità e un tempo prossimo all’infinito per esplorare tutti i duemila miliardi (duemila miliardi!) di galassie stimate nel nostro universo che, ci hanno detto, continua anche a espandersi.
Proprio perché siamo umani non ci accontentiamo di esplorare il nostro universo, dobbiamo varcarne i confini, andare avanti e immergerci nelle dimensioni altre, le dimensioni parallele, gli ipotizzati multiversi, gli universi coesistenti fuori dal nostro spaziotempo per spingerci là, dove la fisica diventa filosofia, religione, essenza, divinità o Natura.
Dov’è finita adesso la nostra Terra? È scomparsa. Si è persa per sempre e di lei è rimasto solo un granello di polvere che non possiamo vedere tanto è piccolo. Sì, di povere, solo polvere invisibile e abbandonata. Fluttua nel buio del niente, meno di un canottino alla deriva nell’oceano.
Non c’è un altro pianeta che possa accoglierci, una terra promessa, un’isola che compaia all’orizzonte o un sasso che possa ospitarci. Niente, siamo soli, proprio soli sulla nostra piccola, bella e luminosa zattera blu e verde, un caso, un’eccezione o un errore della natura. Oltre, niente è ospitale per noi, è tutto vento cosmico, paesaggi brulli e radiazioni. Perché dunque sporcarla? Saccheggiarla? Distruggerla? Per bramosia di che cosa?
Dunque, dittatore di turno, arraffatore seriale e irragionevole, di fronte a tanta grandezza e a tanta pochezza, quale storia vorresti scrivere? Chi sei tu, in fondo? Chi dovrebbe essere interessato a leggere del tuo brigare per accaparrarti un micron di polvere in più? Non lo sai che la storia scrive quasi esclusivamente di assassini sanguinari? Che ne amplifica le gesta, indorando là dove non c’è niente da indorare. È insieme a loro che vorresti comparire? Sei sicuro? Ma soprattutto sei sicuro di essere davvero un grande? Non è che il tuo è solo il ruggito planetario della formica.
E il mio scrivere? Non è altro che il graffio di un pennino su un foglio di carta. Ma io lo so.
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